WARHOLISM

VINCENZO BONANNI

WARHOLISM This is not by me

 

  1. SELFIES

Non pensare di fare arte, falla e basta. Lascia che siano gli altri a decidere se è buona o cattiva, se gli piace o gli faccia schifo. Intanto mentre gli altri sono lì a decidere tu fai ancora più arte

Andy Warhol

 Fare arte è vivere l’arte. E’ osservare una tela che ‘sbecca’, un pannello che si imbarca, un chiodo che storce, un rigonfiamento improvviso del colore pulsare come un polmone che necessita d’ossigeno. Una colatura involontaria (o volontaria!) che sceglie di arrestarsi proprio lì, davanti a te, in quel preciso punto e in quell’esatto momento, senza la quale non avrebbe lo stesso senso proseguire. L’arte vive e tu con il tuo impegno e con la tua insonnia non sei che una scintilla, l’incubatrice di un dono, una madre consapevole del suo ruolo, dello sforzo che l’attende prima del distacco naturale. Poeti e compositori stringeranno sempre il loro quaderno ed il loro spartito, inconsapevoli di questo abbandono. Il colore e la materia generano solo figli unici, esseri ribelli che si separano da te in fretta. Allora senti la necessità che ti assomiglino oltremodo, cloni di te e di loro stessi ad impedire che il tempo possa renderli lontani, estranei, irriconoscibili. Cloni unici. Per questo sei disposto anche a metterci la faccia! Autoscatti e self-portraits  come prolungamenti coraggiosi di te stesso. Andy Warhol fu il primo a mettere in discussione l’unicità dell’opera d’arte. Aggiungere la possibilità di ripetitività alle immagini fa diWarhol il portavoce indiscusso della riproduzione “infinita” del doppio e di tutte le sue maschere. Pessoa direbbe “firmo dunque sono”, liberandosi così da ogni eteronimia. Warhol inizia a ritrarre se stesso nel 1964, alla stessa età che ho oggi e esattamente cinquant’anni prima che il “pezzo zero” di questo progetto prendesse forma (cinquant’anni e cinque giorni separano anche la sua nascita dalla mia! ). Il primo a vedere in me una qualche somiglianza fisica con il Warhol degli anni Sessanta è stato un fotografo americano incontrato qualche anno fa, di cui non ricordo il nome. Mi fece degli scatti in bianco e nero che non ho mai più visto, come lui del resto. Dopo quell’incontro l’hanno detto in molti. Se con Warhol l’America liberò l’arte mostrando semplicemente ciò che rappresentava, oggi è Warhol stesso, la sua immagine autoriprodotta (come la zuppa in scatola o il volto di Marilyn Monroe), ad aver assunto la sua riconoscibilità. Fonte di ispirazione continua per creativi ( della moda e della pubblicità su tutti) ed artisti (come nei lavori degli street artists Mr Brainwash e Banksy),  a conferma di un’arte in cui le immagini sono costantemente in progress. Effigi entrate con forza negli occhi della società contemporanea tanto che, un’ opera che si struttura nella sostituzione del viso iconico di Warhol, può creare nell’immediatezza un trompe-l’oeil. Lo stesso vale per il volto di Marilyn, di Liz Taylor, di Mao Tse Tung, per la Electric chair o per la scritta “Campbell’s”. L’illusione avviene senza l’utilizzo obbligato della serigrafia o della pellicola polaroid e senza la necessità di rispettare meticolosamente i cromatismi originali. Un inganno per l’osservatore, quindi, che percepisce comunque l’opera come di Andy Warhol. Il vero non è dato più da ciò che si rappresenta o riproduce, dal “soggetto”, ma da ciò che la memoria immediata ci trasmette come riconoscibile, quindi vero.

  1. FIRES’ LAND

Non mi piace rubacchiare. Voglio tutto o niente

Charles Bukowski

La straordinaria capacità dell’arte di Andy Warhol di essere popular porta da subito il fruitore ad identificarsi con essa. “Svuotandosi di senso”, lasciando le cose esattamente come sono, crea una rottura ma anche un fil rouge con Duchamp, per il quale l’arte deve confondersi necessariamente con il reale (l’idea dei ready made). Warhol crea un linguaggio universale:

semplicità visiva <  democrazia < diffusione massima

  Perché non riutilizzare e anche “sfruttare” oggi un linguaggio universale così impattante per veicolare un messaggio artistico profondo, sociale e contemporaneo? I progetti li senti arrivare poco prima e nascono in una notte ma si sviluppano nel tempo. Si aggiungono tasselli in luoghi, città, periodi e momenti diversi, nell’arco dei quali cambiano forma, si strutturano arricchendosi di dettagli e sintetizzando concetti ed immagini. E’ una sintesi naturale e costante, ridurre all’osso un intero mondo. Warholism si è stratificato in varie città, anche in paesi diversi, ma ha preso forma in Italia e lo considero un progetto molto italiano. In un’intervista del periodo delle Campbell’s soup Warhol disse di non volere criticare il suo paese, gli U.S.A., con il suo lavoro, ma semplicemente di riportare ciò che vedeva in quel momento storico. Fires’ Land muove dallo stesso principio di base per cui una passata di pomodoro 100% italiano può avere immediatezza come strumento per riflettere sulla Napoli della Terra dei fuochi. La ripetitività rafforza il messaggio,  ogni tela può essere affiancata da una serie di altre tele (come nel caso di 32 Fires’ Land), con l’effetto quasi di un bombardamento mediatico. Eppure resta unica nell’approccio pittorico e negli ”ingredienti” che compongono queste italian soups: plastica (plastic), prodotti chimici (chemicals), scorie nucleari (nuclear waste), copertone (tire), amianto (asbestos), cemento (cement), ferro (iron), latta (barrel), lamiera (metal sheet), idrocarburi (hydrocarbons), solvente (solvent), cavi elettrici (electric cables), scarti (waste), acido (acid), cadmio (cadmium), piombo (lead), mercurio (mercury), alluminio (aluminium), antimonio (antimony), arsenico (arsenic), stagno (tin), tallio (thallium), uranio (uranium), mercurio & piombo (Hg + Pb), liquami/acque reflue (sewages), acque di scolo (sludge), scorie radioattive (radioactive waste), diossina (dioxin/dioxin D.O.C.), plastica bruciata (smoked plastic), rifiuti elettronici (electronic waste) o rifiuti ospedalieri (hospital waste). Lo stesso vale per le “tele-scatolette” in edizione speciale il cui “ingrediente segreto” è un trito proveniente dai suoli contaminati delle province campane di Acerra, Nola e Marigliano, trasformate dalle ecomafie nel “ triangolo della morte” o nella sequenza di quattro opere in cui la Fires’ Land – Plastic viene aperta e consumata drammaticamente alzando la pratica e moderna linguetta.

  1. ICONS  

…giacchè mi rifiuto di vivere per un altro scopo che non sia quello insito nella prima disgrazia: che la mia vita sia leggenda vale a dire leggibile e che la sua lettura faccia nascere qualche emozione nuova che chiamo poesia. Io non sono più nulla, soltanto un pretesto”

Jean Genet

Nel libro scritto con Pat Hackett e pubblicato in America nel 1980, dal titolo Popism: The Warhol ‘60s, Warhol riempie le pagine di ricordi, vita vissuta e disegna uno spaccato newyorkese che trasmuta di diritto in storia dell’arte contemporanea. Il libro è distribuito nel 2004 in Italia con il titolo più semplice di  Pop. Andy Warhol racconta gli anni ’60, ma forse è da considerarsi come qualcosa di più: un trattato sulla corrente Pop e sulla Pop Art. Il nome dato a questo progetto è rimasto inalterato fin dalle prime bozze, prendendo spunto proprio dal titolo originale di quel testo. Warholism si cimenta con la più vasta e conosciuta produzione di Andy Warhol ma tralascia volutamente il periodo di ricerca che lo occupò perlopiù nell’ultima fase della sua vita, quella dei ritratti alle star internazionali. Fanno eccezione quattro serie di portraits: le Madrilyn, i due volti di Alda Merini (Silver Poetry e Golden Poetry) in versione Liz (Tylor), i Gino Strada / Mao (Tse Tung) e i Knives con Roberto Saviano nelle fattezze del Lenin warholiano e un titolo che ricorda i “coltelli” dell’artista, opera scelta per la copertina del libro Gomorra dello stesso Saviano. Marilyn e  Liz  sono state rappresentate da Warhol negli anni sessanta, molto prima dei ritratti ai personaggi famosi e, malgrado la malinconica infelicità che si cela dietro i loro sorrisi, incarnano una celebrazione di bellezza e gioventù. Madrilyn e Alda nascono come elogio della vecchiaia. Una nonna (la lettera “d” crea una fusione tra i nomi Marilyn e Adriana) e una poetessa, due voci distinte e due esempi diversi di come vivere una fase della vita così poco celebrata, quasi mortificata, ma che può saper essere piena di libertà e bellezza poetica. Nei panni delle due icone del Novecento (Mao e Lenin) che Warhol ha riprodotto negli anni settanta e ottanta, Gino Strada e Roberto Saviano, testimonials di un’italianità alta, generosa e coraggiosa. Nella sezione Icons ho voluto inserire anche Cristiano Godano 36 times, 35 scatti fatti al musicista, scrittore e leader del gruppo indie rock dei Marlene Kuntz , sulla scia delle fototessere che compongono il ritratto di Ethel Scull, moglie del magnate e collezionista newyorkese, commissionato a Warhol nel 1963. Christ (Laudate Dominum) e Christ (Laudate Hominem), infine, sono due riproduzioni seriali del particolare di un quadro che ho presentato qualche anno fa; il volto estrapolato del Christus patiens  rimanda al Cristo del cenacolo vinciano omaggiato da Warhol. L’opera originale è intitolata Maternità crocifissa ed è inserita in Solitudini/Loneliness, una mostra i cui pezzi muovono dalla poetica e dal pensiero di Pier Paolo Pasolini. L’intellettuale friulano scrisse: “Warhol produce immagini come i Bizantini: frontali e seriali” “…l’abside di Warhol è il mondo”.

  1. BRUISES & BLOOD

Nulla è il bello,

se non l’emergenza del tremendo

Rainer Maria Rilke

 Nei Sixties Andy Warhol è da considerare come un nuovo ‘Veggente’ (a circa un secolo da Arthur Rimbaud) e predice una società a modo suo impeccabile; ineccepibilmente mediocre, superficiale, avida di comunicazione (imperfetta) e celebrità (perfette).Tanti attributi con cui egli stesso fu bollato. La sezione Bruises&Blood trae origine dalla serie di opere  conosciuta come Death and Disaster in cui Warhol inserisce le sue più note serigrafie del dolore “rubate” perlopiù dall’informazione giornalistica, immagini di disastri aerei (129 Die In Jet), incidenti d’auto (Car crash), suicidi (A woman’s suicide/Suicide – purple jumping man/ Suicide – fallen body/ecc), intossicazioni alimentari (Tunafish Disaster), funerali di stato (Jackie Kennedy series) e stanze di esecuzione (Electric chair). Ad essere “rubata” da me è la tragedia degli sbarchi di Lampedusa da una sequenza di Terraferma, film del 2011 del regista Emanuele Crialese (Isola dei conigli-Dry Land); è la “gioventù bruciata” di Amy Winehouse da una foto del 2007 (©Rama) che la immortala sola sul palcoscenico (Fifteen Amy); è la Piazza Duomo dell’Aquila terremotata dal mio Kyrie Eleison (Golden Kyrie), pezzo che ha dato il titolo ad una mostra nel 2009.Quadri in cui la ripetitività ha un ruolo centrale nello scopo di creare pathos e dove la tecnica serigrafica è semplicemente simulata con la stampa laser o inkjet printing. Al contrario, in quasi tutte le opere che compongono Warholism la serigrafia è sostituita dalla stampa su film poliestere bianco opalino (Diajet Film Dm Color 003”) di una foto scattata o di un autoscatto e attraverso un procedimento di retro pittura, mentre i supporti variano dal cartone pressato, alla tela, al depron. Un’eccezione sono le basi di polipropilene usate per le due serie Euros e Pills,  raccolte anch’esse in Bruises&Blood. La prima ha un chiaro legame con i Dollars di Andy Warhol, la seconda, dietro un’iconografia che ricorda gli Eggs warholiani, è esattamente ciò che rappresenta: pillole. Gli ansiolitici hanno preso il posto delle anfetamine, un cambiamento rispetto agli anni della Factory forse di scarso rilievo o forse emblema di come oggi si preferisca tenere al guinzaglio quel qualcosa che una volta si cercava di stanare.

V.B.